Osannato da vivo, bastonato da morto, Pietro Mascagni rappresenta un fenomeno unico nella storia della musica e del costume. Perché non era mai accaduto che un compositore sconosciuto debuttasse con un capolavoro, Cavalleria rusticana, e fosse rappresentato di colpo in tutto il mondo, divenisse all'improvviso un personaggio popolarissimo. Perché nel 1890 Cavalleria rivoluzionò il melodramma e aprì il Novecento musicale mentre Verdi lavorava al Falstaff, l'opera con cui pensava di tenere a battesimo il secolo in arrivo. Perché Mascagni, bello, aitante, esibizionista, impose un modo nuovo di essere giovani, di acconciarsi, di vestire, perfino di dirigere l'orchestra. Perché il fanatismo provocato da Cavalleria lo innalzò nell' olimpo dei divi, molto prima di Rodolfo Valentino e di Greta Garbo. Perché ebbe il torto di rimanere un "numero uno" anche sotto il fascismo.
Morto nel 1945 a ottantadue anni, l'Italia antifascista lo ignorò. E da allora Mascagni ha scontato i troppi successi collezionati da vivo. Aldo Santini, dopo aver dato inizio, nel 1984, al "caso Modigliani", cerca di analizzare il "caso Mascagni" risalendo alle origini politiche e culturali dell' ostracismo decretato contro il padre di Cavalleria. E avanza una ipotesi che fa riflettere: se Puccini non fosse scomparso prematuramente, nel 1924, Mascagni, suo caro amico e grande rivale, ne avrebbe tratto un vantaggio inestimabile. Sentiamo perché.
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